Racconti di un viaggio in treno

Dal Trentino a Monaco

Sono in partenza per Monaco e metà della popolazione austro-tedesca del pianeta si trova sul mio stesso binario. Mi aspetta un viaggio impegnativo, nove ore fino a Berlino e, naturalmente, nonostante sia in viaggio di lavoro, non ho prenotato un posto a sedere. Non riesco a scrollarmi di dosso la modalità proletariato, anche quando sono altri a pagare per me. Mica potevo immaginare che sui treni tedeschi si potesse prenotare il posto anche in seconda classe! Io vengo dalla scuola Trenitalia, perfetta come scuola di vita ma inutile se paragonata alla potenza delle ferrovie tedesche.

Il treno parte e ovviamente è tutto prenotato, anche i corridoi e i bagni, al che il capotreno mi suggerisce di occupare comunque un sedile libero e di cedere il posto qualora si presenti qualcuno con la prenotazione.

Seleziono la prima cabina a caso, due posti liberi. Un signore mi guarda e mi saluta. Gentile, penso. Basta con i luoghi comuni sulla freddezza dei nordici. “Mi scusi ma lei ha prenotato un posto qui?“. “Veramente no“. “Ah“, risponde lui con lo sguardo acceso da maestrino delle elementari, felice di poter finalmente insegnare un po’ di buone maniere a un’italiana disperata. Comincia a spiegarmi i pro e i contro della mia scelta impudente, il rischio di denuncia, l’appropriazione indebita di sedile altrui. Da parte mia cerco di tranquillizzare il prof. comunicandogli di avere già raggiunto la maggiore età e di essere a conoscenza dei rischi e pericoli di questa mia azione avventata. Spero di raschiare almeno un sei politico; ma lui, mosso da una morale geneticamente impossibile da smussare, rincara la dose a secchiate e, mentre continua a prefigurarmi scenari apocalittici, ridacchia beffardo, che tanto quella che prima o poi deve sloggiare sono io. Lo rassicuro come posso, ho paura che gli venga un malore per colpa della mia vena ribelle: “non si preoccupi, ho già parlato con un tizio in uniforme qua fuori, mi ha detto proprio lui di fare così“. Che bugiarda. Leggo di sguincio tra le rughe.

Non c’è posto per il suo zaino nei porta pacchi“. “Sì questo lo vedo, ci appoggio giusto il giubbotto infatti“. Ho paura a levare il giacchino di lana per non farmi criticare pure l’outfit e nulla, non mi toglie lo sguardo di dosso. “La prossima volta che prende un treno le conviene prenotare. Alla prossima stazione salirà qualcuno e dovrà spostarsi, le toccherà viaggiare in piedi“. Non sta succedendo veramente. “Se è fortunata troverà posto a terra in corridoio, ma è pieno anche quello“. Non è la tragicità della mia sorte a infastidirmi e nemmeno che qualcuno mi stia infilando un braccio nella piaga. È proprio la faccia, l’espressione soddisfatta della persona che fa sempre la cosa giusta. La sintesi di un tedesco, insomma. Sono parecchio a disagio. A casa mia sono io che interpreto il ruolo della saccente, non sono preparata a stare dall’altra parte della barricata.

Fortuna interviene la moglie con una stupida domanda trovata sulle parole crociate. “Hauptstadt des Bundestaates New York“. Facile. La capitale dello stato di New York è… New York! Finalmente è giunto il mio turno di estatica vendetta.

Ci dev’essere senz’altro un errore” afferma il rettore, “New York sono sette lettere e qui ce ne sono sei”. Eh già, genio della geografia. Ma la capitale dello stato di New York è Albany e il mio G. sarebbe fiero di me se fosse qui: una nozione geografica senza consultare Google Maps.

Cose inutili e quando impararle

È tutto grazie a quella notte in cui non riuscivo a prendere sonno e ho cominciato a leggere su Wikipedia tutte le capitali degli Stati Uniti, ricavandone grosse sorprese e altrettanto grossi insegnamenti. Anni e anni di film Hollywoodiani, il mito della grande mela… e la capitale di New York è Albany. Sono notizie che ti segnano. Naturalmente non ho intenzione di condividere la soluzione con il saputello di fronte, anche se ciò va a riversarsi interamente sulla moglie. Ma d’altronde, peggio per lei. Non gliel’ha ordinato il medico di sposarsi un rompi coglioni. E poi in questo momento è il diavoletto che mi fa fare le cose cattive, mica sono io! Lo dice anche mia nipote di 4 anni.

L’arrovellarsi delle membrane cerebrali procede allegro e, fortuna ci sono le montagne che bloccano la connessione a internet, sennò io come mi divertirei qui? La beatitudine dura giusto fino a Bressanone, stazione in cui sale a bordo il legittimo affittuario del posto a sedere e devo alzarmi. “Buona fortuna” mi augura sardonico il professore multitasking che riesce a giocare e farsi i cazzi miei in contemporanea. “Danke” rispondo io sorridente. “Ah a proposito. La capitale che cercavate prima è Albany. Sapere a memoria il libretto d’istruzioni della Deutsche-Bahn in fondo non è così utile. Buon proseguimento di viaggio”. E sparisco di scena lasciando dietro di me orde di gente basita. Per studiare questa frase in tedesco ci sono voluti 42 chilometri, ma ne è valsa la pena.

Tracce di nobiltà

Dopo tanto vagare tra i corridoi trovo un posto nei gradini di un’uscita. Che viaggio di merda. Mi sparo la musica a bomba nelle orecchie per non pensarci, poggio la testa sulle ginocchia, mi sto congelando il sedere e non abbiamo ancora superato l’Austria. Sta andando tutto benissimo. Una signora cerca di sfondare la porta del bagno nonostante ci sia attaccato sopra un foglio a prova di ipermetrope che recita: “Defekt. Out of order”.

Signora il bagno è rotto” la avviso e, mentre riporto la testa al punto di origine incrocio un uomo mentre esce dal bagno di fronte, perfettamente funzionante. La camicia a quadri da boscaiolo tenta invano di nascondere la pancia da pallone di Pilates.

Mi guarda.

Lo guardo.

Un déjà-vu mi paralizza. Sento il calore della copertina del divano, il the fumante alla cannella che appanna gli occhiali, il profumo di caldarroste e l’appuntamento natalizio con Sissi in tv. Questo signore è la fotocopia del padre dell’imperatrice, Massimiliano Giuseppe Duca di Baviera (o meglio dell’attore) e sarà per questo mio sguardo ammaliato che lo stesso, con un gesto di assoluta sobrietà, si tira su la braga dei pantaloni, svegliandomi bruscamente dal sogno dei balli a corte e delle riverenze. Forse con il Duca sono solo imparentati alla lontana, ma dubito gli abbia lasciato titoli o eredità importanti. Giusto le basi del Galateo, ma quello è sufficiente.