Ah ma ancora niente figli?

Avevo un impellente bisogno di cibo spazzatura. E visto che a casa dei miei non c’era nulla che potesse placare i miei istinti famelici, decisi di andare al supermercato per procacciarmi provviste a base di carboidrati e altre sostanze dai nomi difficili, di cui è meglio non conoscere la natura. 

Potrebbe essere l’incipit di una qualsiasi insignificante giornata. Solo perché non sapevo che di lì a poco avrebbe preso una svolta inaspettata, una di quelle che ti fa rimuginare la notte con tutta una serie di frasi che avresti voluto dire in un preciso momento, ma per impreparazione, shock renziano e attonimento, sono rimaste sotto forma di idee, giusto il tanto per togliere il sonno all’ora in cui di solito si dovrebbe dormire. 

Avere le voglie, ma non quelle

Una volta finito il giro tra gli scaffali delle schifezze e arrivata alla cassa, mi imbatto in una vecchia conoscenza, genitrice di un’altrettanto vecchia conoscenza, che comincia a farmi le domande di rito sul lavoro, l’emigrazione all’estero e altre inutilità di circostanza. Felice di rispondere, nonostante la banalità degli argomenti triti e ritriti giusto quel migliaio di volte, mi sento dire a un certo punto quanto segue: “Mia figlia è già in attesa del secondo figlio, ma tu cosa aspetti a fartene uno?”. 

Al che, le opzioni di reazione, si sprecano. Quale scegliere? 

  • L’acidata: anche io sono in attesa, ma il meteorite ancora non si vede.
  • La bugia con senso di colpa: un grave problema di salute mi impedisce di averne, ma grazie per avermelo fatto ricordare.
  • L’impopolare: adoro i bambini, ma solo se sono gli altri a produrli.
  • La milanese imbruttita: è una questione di priorità, al momento. Hai presente quando devi chiedere i soldi a tuo marito per andare dalla parrucchiera perché non hai lavorato mezza giornata in vita tua? Io no. Ma raccontami meglio cosa significa non avere un’indipendenza economica, adesso sono curiosa. (Ok questa è cattiva).

Dai, ma sinceramente. Cosa si può rispondere a una donna che ti parla così? Ma soprattutto, cos’è che spinge un estraneo a chiedere resoconti sulla procreazione altrui?

Io, boh.

Cioè ma vi rendete conto? Essere messi nella condizione di dover sbandierare i propri progetti di vita come la nascita di un figlio, la rivoluzione della propria esistenza, il diventare genitore… alla cassa di un supermercato. Un’amica ha la confidenza giusta per affrontare certi discorsi che, va da sé, sono piuttosto intimi. Ma anche una cugina, uno zio, un fratello, un parente di terzo grado… 

E sì, avrei potuto raccontarle dei miei successi lavorativi, dei graduali aumenti di stipendio, della fiducia e delle nuove responsabilità acquisite in ufficio. Oppure avrei potuto dirle di quella volta che hanno tentato di rifilarmi uno stipendio inferiore rispetto a un pari, solo per via dei differenti genitali contenuti nelle mutande (sì succede anche nella strepitosa Germania).

Avrei potuto parlarle del processo di integrazione in un paese straniero, della ricetta della pizza fatta in casa, che mi esce meglio da quando uso la semola, dell’ultimo romanzo letto o di stocazzo. Temo che non avrebbe comunque capito nulla di chi sono, di cosa faccio, di chi voglio essere e cosa voglio fare. Perché chi si approccia alle persone con la malizia di avere una marcia in più, solo per il fatto di essere appellata nonna da qualcuno, qualche limitazione ce l’ha. E pure piuttosto importante. 

A ciascuno il suo

Per me va bene se alcuni vedono nella famiglia il grado di realizzazione più ambizioso. È lecito. Ci sta. Diciamo anche che non me ne frega un cazzo e che le mie giornate sono scandite da tutt’altro genere di pensieri. Ma farlo diventare come un atto discriminatorio nei confronti di chi non ha figli, è ridicolo, oltre che meschino. Non capisco come il fatto di avere dei nipoti possa costituire un vanto, ma so di avere dei limiti. Non afferro poi il motivo di affrontare la questione davanti a una cassiera e altri individui a me sconosciuti, mettendoli al corrente delle attività del mio utero. Forse al posto di Lettere, mi sarei dovuta iscrivere all’università della Vita.

Una situazione imbarazzante che, fortunatamente, si è ripetuta poche altre volte e che non mi ha più colta impreparata. “Che meraviglia, auguri per i nipotini”. Busta della spesa in spalla, arrivederci e grazie. Alla domanda non ho dato risposta. E certamente non sono corsa tra le braccia di G. (o le gambe, a seconda di come la si veda) per porre rimedio al nostro esiguo nucleo familiare. Se avessi ribattuto alla provocazione, avrei di sicuro rasentato la volgarité; poi mi sono ricordata che il ruolo della persona educata è molto impegnativo, a tratti faticoso, ma qualcuno dovrà pur farlo. Anche a costo di mordersi la lingua.