Il giorno del licenziamento

Come dimenticarlo…
Era giugno e faceva caldo, ma noi, i ragazzi della startup, tutti giovani e presi bene, ce ne stavamo tranquilli tranquilli sulle nostre sedie ruotanti, chi a lavorare, chi a cercarsi il corso di tedesco, chi la piscina, chi a fingere un malcelato interesse verso la partita dell’Italia (c’erano gli europei), chi invece ci credeva per davvero. Regnava un religioso silenzio.
Dopo mesi e mesi di intensa attività telefonica, urla, inneggio al dio danaro, incitamento alla vendita selvaggia, litigate coi clienti e litigate tra colleghi, faceva strano stare in quella stanza così calma e pacifica.Provette
Dovevamo pensarci che era un chiaro presagio di morte. Ma non ci pensammo. E continuavamo anzi impassibili, a farci i beati affari nostri.
In massa poi, avevamo deciso di ignorare l’ennesimo incontro farlocco con i capoccia dell’azienda. “All hands meeting” si chiamava, ed era praticamente una pausa legalizzata a cui ogni tanto si doveva prendere parte per sentire le novità del mercato e battere le mani quando lo facevano gli altri. Immagino che quel giorno, di mani, se ne siano battute poche, ma non lo saprò mai visto che anche io facevo parte dei disertori della fuffa.
Durante quell’incontro si annunciò infatti, inesorabile, il nostro licenziamento in tronco. Duecento teste spazzate via in un soffio. Fffh.
Noialtri, intanto, ignari di tutto, pensavamo a rifornirci le scodelline bianche Ikea con i cereali al cioccolato gentilmente sponsorizzati dalla mitica startup. Non ci mancava niente: frutta fresca, Coca Cola e Club Mate a gogò, macchina del caffè di alto livello, distributore di acqua liscia e gasata… nulla da invidiare nemmeno ai nobili di alto rango.
Ma ecco la mail delle 16.00 in punto dei fondatori – sintetizzerò per comodità: “Ehi ragazzi, cioè troppo fico lavorare con voi per creare questo sogno di azienda che stiamo mandando dritta sull’orlo del precipizio. Speriamo vi siano piaciute le birrette fresche e le feste aziendali degli ultimi mesi. Purtroppo però abbiamo fatto dei piccoli errori di calcolo: un paio di milioni spesi male, passi più lunghi della gamba, sai com’è… a 22 anni è facile sbagliarsi! Ma non vi dimenticheremo mai”.
Nemmeno noi, vai tranquillo.
Se già questa ci sembrava una valangata di merda recapitata dritta sulle nostre teste senza ricevuta di ritorno, non potevamo immaginare quello che stava per accadere. La mail delle 16.01 in punto. Mittente, capo delle risorse umane, di sopraffina sensibilità e umanità imbarazzante, che recitava più o meno così, con questo tono: “Ehi ciao, hai appena ricevuto una mail dall’alto che diceva che da domani molti di voi staranno a casa, beh, tieniti forte… anche tu fai parte dei fortunati vincitori! Grazie per aver partecipato, a breve passeremo in cabina con maggiori dettagli”.
E poi, come per magia, disattivazione istantanea di tutti gli account. Accesso bloccato alla mail, ai programmi, software, tool. Mi sono dunque precipitata in bagno, prima che ci negassero di usare pure quello.
In pochi minuti, noi del team Italia, ci siamo trovati tutti in piedi intorno a un tavolo, un gruppo di una quarantina di persone da tutte le parti dello stivale con i volti pieni di dubbi e domande, ma soprattutto di incredulità per quello che ci stava capitando. Ci siamo detti tante cose belle, infine, che nessun licenziamento del mondo può impedirti di provare. Eravamo riusciti in pochi mesi a creare una piccola famiglia, con i suoi difetti, ma comunque legata e pronta a lottare insieme se necessario. Tra qualche lacrima di commozione e delusione, infine è arrivato: il goal. Italia in vantaggio. Siamo corsi urlando sotto la tv per rivedere l’eroico gesto, e con un sorriso, abbiamo  esultato anche noi. Ogni tanto una gioia.