Breve storia triste di un fallito rimorchio

Io non ho mai cuccato in discoteca. Triste ma vero. Un po’ perché le mie amiche soffrono di gnoccaggine acuta, un po’ perché non ispiro i rimorchiatori del sabato sera probabilmente. Fatto sta che negli ultimi anni di migrazioni impulsive e apparentemente illogiche, non ho mai avuto modo, tempo o fortuna, di beccare un messaggero di Eros che volesse provarci con me senza impegno.
Accadde però, una notte qualunque di un qualsiasi fine settimana a Milano di due anni e mezzo fa, che mentre mi agitavo a suon di musica anni ’90 con la mia inseparabile compagna di avventure, vedo un tipo non male verso l’uscita del Goganga. Interessante visione. Un ragazzo semplice e pure abbastanza belloccio per i miei canoni, mi piaceva come era vestito, non barcollava e parlava senza sputare. Tempo 5 minuti e il grazioso fanciullo si dirige verso i nostri lidi. Sapevo già che il buon vento che lo portava a noi era la mia amica, d’altronde in palestra in molti le dicevano che il suo culo era patrimonio dell’UNESCO, non poteva essere altrimenti.
Inaspettatamente però, il buon uomo mi parla, mi chiede, porge domande da cui aspetta risposte. Il che mi porta a pensare di essere vittima del famoso giochino “conquista prima la sua amica, ed è fatta”. E invece no, contro ogni pronostico sono io quella che ha deciso di abbozzare quella sera. Proprio io, coi miei fianchi imperfetti e la voce nasale. Rispondo un po’ a monosillabi in attesa di smascherare l’arcano, quando ecco che il fanciullo mi chiede un contatto, un numero di telefono, account Linkedin, Facebook, non so, qualsiasi cosa. “Ok”, faccio io. Gli dico il mio nome giurando che non è una presa in giro, e non perché sia uno di quei nomi che fanno ridere, almeno non in Italia.
“Bene”, dice, “allora ci sentiamo, così potremmo metterci d’accordo per bere un caffè insieme o fare aperitivo dopo lavoro”.
Madddddai! Non ci credo! Anche la mia amica si congratula, mentre io mi conferisco allegre pacchette sulla spalla per la grande conquista del giorno, ma che dico, del secolo!
L’indomani arriva puntuale la richiesta di amicizia. Accetto e aspetto.
Aspetto.
Aspetto.
Aspetto e nulla.
Aspetto e mi faccio domande.
Aspetto e non ottengo risposte.
Nulla, mi arrendo all’evidenza, come al solito ho preso un abbaglio. Di scrivere io non se ne parla, non mi va, sono troppo demoralizzata. Continuerò per la mia strada come se nulla fosse, godendo comunque della piccola gioia della sera prima.

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Duomo di Milano

[…] Due anni e mezzo dopo, e cioè ieri sera, a Berlino, mentre preparavo la cena per me e il mio fidanzato, in attesa di riabbracciarlo dopo una lunga giornata di lavoro, mi trovo per caso a scorrere tra le varie richieste di contatto arrivate sulla app dei messaggi di Facebook, quella roba inutile che nessuno si spiega perché è qui tra noi.
“Ciao ti ricordi di me? Ci siamo conosciuti ieri sera, come stai?”.
Come sotto un treno ma bene, grazie, anche se intanto che leggevo il tuo messaggio siamo arrivati all’età del pensionamento.
Tra lo sgomento e l’incredulo penso che probabilmente doveva andare così, ma sì, in fondo mi ero stancata di stare a Milano. Certo, l’idea di come sarebbe potuta essere diversa la mia vita mi incuriosisce parecchio… ma poi lo vedo arrivare, è finalmente tornato a casa. Bello, bellissimo. E mi ricordo immediatamente perché quel messaggio è stato meglio leggerlo ieri sera.