San Valentino, cuore, amore, festa degli innamorati
Per San Valentino ho ricevuto direttive molto chiare da un cliente: è proibito citare la festa, usare perifrasi, tipo appunto, la festa degli innamorati, e parlare di amore (da qui il titolo del post). Anni di meditazione sono risultati insufficienti per affrontare questa nuova challenge senza perdere la pazienza. Ma come cazzo si fa a sponsorizzare degli articoli per San Valentino senza parlare di sentimenti, di gente che produce quantitativi considerevoli di dopamina, adrenalina e serotonina o citare almeno di sguincio l’organo vitale per eccellenza?
Capisco l’astio nei confronti della celebrazione, non ha mai fatto impazzire nemmeno me. Non solo non ho mai amato ricevere effusioni romantiche di sorta, nemmeno se provenivano da parenti di primo grado, ma il cioccolato, emblema del 14 febbraio, ha effetti nefasti sul mio apparato digerente. E non esagero quando dico che per me, in fin dei conti, San Valentino rappresenta solo l’ennesima festa di merda.
Una cosa è certa. Se taluni cantanti si fossero interfacciati con i miei clienti prima di incidere i loro dischi, avremmo meno canzoni agghiaccianti in giro.
Io capisco che a leggere certe smielate ci sia il pericolo di restare incollati coi pollici al display del telefono e, a farseli staccare poi, si rischia di rimetterci le impronte digitali. Ma non parlare di amore a San Valentino è come andare in ristorante e non parlare di cibo. Come fai a far capire al cameriere quello che vuoi mangiare?
A ciascuno il suo Valentino
All’asilo avevo un partner. Il nostro primo bacio è avvenuto sotto a una pila di giubbotti in cui tentavamo di nascondere il nostro amore impossibile, osteggiato dagli adulti insensibili. Se devo essere del tutto sincera, ho un ricordo abbastanza vago dell’accaduto. Ma mia madre non ha mancato di riportarlo alla luce negli anni, non senza un certo imbarazzo.
Ho rivisto il mio primo manzettino la scorsa estate al mare, riconoscendolo dopo una ventina di minuti di sguardi interrogativi, per cui continuavo a chiedermi dove cavolo avessi già visto quella faccia. Fino a ricordarmi della scenetta bollente consumata all’interno dell’armadietto, mia madre che continuava a domandarmi cosa avessi in quel momento per la testa (ah l’amore, vai a spiegarlo) e, sì, di lasciar perdere, che non era cosa per me. Aveva ragione.
Evoluzione nell’approccio
Negli anni ’90, superata la fase libertina della scuola materna e approdati alle elementari, i flirt hanno preso una piega più intellettuale e li si gestiva in maniera molto più responsabile e selettiva. Credo tutti abbiamo avuto l’amore della nostra vita già dalla prima, ma questo non ha mai costituito un limite per tirare tinta anche ad altri player disponibili sul mercato. L’amore vibrava nell’aria, ma non ricordo che a febbraio ci si scambiassero cuori di cartoncino o cagate simili per San Valentino. Al massimo ti veniva recapitato sul banco un biglietto piegato alla stregua di un origami, in cui qualcuno (e mai il diretto interessato) chiedeva: “Ti piace A.? Sì o no”. Dritti al punto. Oltretutto, mica si aspettava il 14 febbraio per tentare la conquista. Ogni giorno era quello giusto; il resto, roba da consumismo.
La bestia dell’adolescenza
Alle medie poi c’era quella meravigliosa usanza di scambiarsi i diari e impegnarsi nella realizzazione di capolavori artistici di un certo spessore, principalmente dedicati agli innamorati, di cui si usavano rigorosamente le iniziali puntate, come per gli incensurati. La cosa funzionava per lo più tra ragazze, ma anche ai maschietti non dispiaceva di tanto in tanto ficcanasare tra le nostre questioni d’amore. Pettegoli mascherati da un addensato di virilità e una manciata di baffetti incolti. Le ragazze si sequestravano il diario per ore, alcune restituendo massime immortali tipo “Come la cacca lascia la scia qui ti lascio la firma mia”, oppure monumenti di bellezza eterna degni di Brera.
A me è sempre piaciuto vandalizzare di tutto e, considerata la mole di esperimenti sintattici e grafici a cui ho sottoposto banchi e pezzi di carta negli anni, suppongo che i bidelli volessero amputarmi le mani con una sciabolata secca di scopa. E comunque, nessuno dei miei dream boys ha mai sospettato nulla delle mie pulsioni.
Parlare tra di noi di San Valentino? Già tanto se riuscivamo a sederci mescolati, maschi e femmine, senza spirare per autocombustione.
San Valentino nell’età adulta
Vi siete chiesti se sia riuscita a superare la censura letteraria impostami dal cliente? Certo che sì. Le parole hanno l’immenso potere di potersi adattare a qualsiasi contesto, immagine o pretesa assurda, e bisogna abbracciarle anziché farsi intimidire. Ovvio che non eguaglierò mai in genialità il poeta che, il secolo scorso, ha immortalato su pietra miliare il sommo evergreen: San Valentino è la festa di ogni cretino che crede di essere amato e invece è solo fregato, ma comunque me la sono cavata.
E noi invece? Come festeggeremo l’amore? Di seguito un estratto della conversazione:
G.: “Dobbiamo andare a pranzo fuori per San Valentino?“. (Che già la scelta di un verbo servile dice tutto).
Io: “Eh?“.
G.: “Scongelo qualcosa“.
Non so come siamo diventati così inappetenti: forse la quarantena, forse l’età, forse cambiano le priorità e si diventa più realisti, più consapevoli. Non siamo mai stati tipi da eccessive smancerie e, comunque, non le sbandiereremmo mai sui social, che casa nostra è abbastanza grande per contenere l’ego di entrambi. Una cosa la so, però. G. sarà sempre disposto a sbucciarmi una mela quando non ne ho voglia o farmi vincere a Scala 40 per farmi sembrare meno tonta e, checché se ne dica, foto diabetiche a parte, non riesco a immaginare una forma più vera dell’amore.