Andare a ballare dopo i trenta

A Milano abitavo in una traversa di via Savona: una via lunghissima che toccava vari punti della città via via sempre meno interessanti da un punto di vista sociale, ma molto, molto avvincenti se considerati da una prospettiva psicoterapeutica. Gli ultimi veri sprazzi di giovinezza li ho vissuti lì, a Milano; tipo quando dopo aver visto un film con la mia amica (che tuttora sostiene di essere arrivata sino ai titoli di coda) ci eravamo preparate per andare a ballare all’una di notte, in pieno inverno, in mezzo a un diluvio, senza un euro in tasca.

Una nottata passata a consumarci sotto le luci soffuse della pista da ballo, conclusa poi in camera sua a preparare un tiramisù per un pranzo a cui avrei dovuto partecipare da lì a poche ore, mentre il nostro coinquilino dormiva, non si sa come, a suon di fruste elettriche.

Non è che facessimo cose assurde, pericolose, irresponsabili. Il dato che mi sconvolge di più ripensandoci ora, era la voglia, l’energia, il sentirsi riposate anche dopo due ore di sonno e il riuscire a ripartire subito con altre mille cose da fare. Ai tempi consideravo dei piombi assurdi quelli del “ah, beati 27 anni“, “ah beata gioventù“, “ah se potessi”.

Dio mio, e che sarà mai? Ripigliatevi! Pensavo.

Ancora non percepivo la profonda sacralità di quelle affermazioni.

Anni dopo

È cominciato tutto con un messaggio su Whatsapp: la locandina di un piccolo Club di Kreuzberg che sponsorizzava una serata di musica italiana anni ’70 e ’80. Meraviglia. Peccato che non andassi a ballare da circa 36 mesi, raggiungendo così l’apice della stagionatura perfetta.

Vi è mai capitato di non trombare per tempi biblici e chiedervi alla prima occasione disponibile: “ma sarò in grado?”, “ricorderò come si fa?”; per poi gioire a cose fatte nel constatare che in fondo, è un po’ come guidare la macchina. Impossibile da dimenticare.

(Almeno, così ho sentito dire, perché a me ovviamente non è mai successo).

E così, allo stesso modo, ho cominciato a nutrire seri dubbi sulla possibile partecipazione alla serata: andare o non andare, sudare o Netflix, freddino o copertina; ma vedere la faccia di Raffaella Carrà così radiosa e sorridente su quella locandina, non poteva che portare a una sola decisione, quella del Tuca Tuca.

Il pre-serata

La preoccupazione non era tanto il fare tardi e bruciarsi l’indomani a letto, quanto l’arrivare sveglia alle undici di sera. Fortuna esistono i bar in cui fare tappa prima della seratona, anche se quelli di Berlino, forse per risparmio, forse per affinità col Medioevo, o forse per creare quella cazzo di atmosfera tetra che tanto piace ai berlinesi, usano quasi esclusivamente candele per illuminare i locali. Il che da una parte è un bene per non farsi notare da tutti mentre si sbadiglia, ma dall’altra sono essi stessi a provocarli: un cane che si morde la coda.

Una volta superata indenni la prima fase e giunti al Club, è stato meraviglioso ballare sulle note dei capolavori degli anni ’80 e non sbagliare mezza parola, a differenza dei quarantenni presenti. Non c’è niente da fare. La musica, specialmente quando piazzata a bomba, ha il potere di svegliare dal sonno anche le anime più addormentate, e la capacità di coprire gli ululati ogni volta che si poggia il sedere sul divanetto tattico tra una sessione di ballo e l’altra.

Nessun cuscino sotto al sedere può resistere però al fascino intramontabile di “Amore disperato”, dei successi della Rettore, di Giuni Russo, che ha reso famosa la mia città e ora tutti sgranano gli occhi quando dico che sono di Alghero. “Daiiii, vai ad Alghero in compagnia di uno straniero!“.

Il che potrebbe anche essere, visto che G. viene spesso scambiato per turco.

Sono bastate le prime note di Cobra per convincermi a ributtarmi in pista e, dopo una carrellata perfetta, è arrivata quella boiata atomica di Gioca Jouer a rovinare la festa. Volevo svignarmela ma una povera ragazza tedesca mi ha fermato chiedendomi spiegazioni: “Perché fate tutti questi gesti?”. Che cazzo ne so, me lo sto chiedendo anche io da trent’anni.

Un ripassino per chi ha avuto la fortuna di dimenticare.

Differenze sostanziali

Sono una ragazza semplice, a cui piace divertirsi in maniera genuina, meglio se con i greatest hits della musica per anziani, ambienti illuminati a giorno, volumi sostenibili e qualche buon amico con cui poter ragionare o dire minchiate a seconda del mood. A volte tutto ciò comporta anche fare le ore piccole, e io resisto, amici, mica sono così messa male. È solo che andare a ballare, da quando ho superato i trenta, mi richiede un dispendio energetico di cui attualmente sembro non disporre. Tornare in palestra? Già considerato. Aspetto solo il lunedì migliore per cominciare.