Sogno di una vacanza di mezza estate

Causa mancanza di automobile per gli spostamenti, queste vacanze le ho passate a riscoprire i vecchi piaceri dell’adolescenza, quando aspettavo con trepidazione l’arrivo dei 18 anni e l’iscrizione a scuola guida.
Essendo solo piede-munita, ho dovuto spesso optare per l’autobus urbano, cosa che non augurerei mai a nessuno.

Vivo a Berlino da più di tre anni ormai, e nonostante qui macini chilometri e chilometri con qualsiasi condizione atmosferica, lo stesso non si può dire per Alghero, dove, cascasse il mondo, la distanza casa-centro a piedi non si fa manco morti. Almeno, non io da quando ho cominciato a fare amicizia con la pressione bassa e odiare il caldo.

L’attesa del bus (tram per gli autoctoni, nonostante l’assenza di rotaie) si rivela sempre un’esperienza mistica di primo livello. Sarà che passano in media 30 minuti prima che si manifesti l’arrivo del mezzo, perciò, a voglia cose che possono succedere in mezz’ora. Ma è soprattutto la tipologia di persone che si incontrano, le facce sudate e stremate, i turisti spaesati e confusi, che esercitano su di me un fascino millenario.

Senza dubbio, sono nata in uno dei quartieri più affascinanti della Sardegna, ma anche del mondo direi. I giornalisti, quando in un articolo devono usare un sinonimo per non ripeterne il nome, lo definiscono “quartiere popolare”. Per me è riduttivo. Preferisco parlare di culla della civiltà, di centro dell’universo conosciuto.

Sedevo sull’unica panchina consumata dal sole, in compagnia di una signora di mezza età, ovviamente tramortita dalla calura, quando ci si avvicina un tipo, anch’esso di mezza età, in cerca della sua auto. “Era qui”. Noi, ovviamente ignare e intente a procurarci ustioni di secondo grado sulla pelle, facciamo spallucce. Che possiamo saperne noi della sua macchina? “Me l’hanno rubata, sono andato un attimo in farmacia ed è sparita”.

Magari non ricorda bene dove l’ha parcheggiata, azzardo io. Ma no, il signore è convinto del furto, e anziché urlare, disperarsi, scagliarsi contro una divinità o chiamare la polizia, si gira e va via ragionando senza scomporsi troppo sull’accaduto. Bellezza pura.

IL TRAM

Finalmente giunge l’agognato tram, piccolo e già gremito di popolazione. Trovo posto accanto a un anzianotto meraviglioso: cappellino, barbetta incolta, occhiali da sole, marsupio di lato. Tutto filava liscio, le persone erano visibilmente soddisfatte per essere riuscite a salire a bordo del tram anche quel giorno, senza spargimenti di sangue e senza aver superato l’ora di attesa alla fermata.

Poi, come un fulmine a ciel sereno, i muscoli del mio corpo si intirizziscono, come se nell’aria fosse esploso lo stridore fastidioso di qualcuno che striscia le unghie su una lavagna o comincia a sfregare pezzi di polistirolo. È una cosa che odio a morte.Il signorotto ganzo parlava tedesco.

Rabbrividisco. In quale incubo recondito della fantasia può nascondersi tanta bruttura? Il tram che per anni ha segnato la mia vita di ragazza della periferia, e la lingua che da qualche tempo disturba i miei sogni di giovane donna emigrata, insieme, uniti da uno strano gioco del destino. Allibita, cerco di capirne di più. Il signore discorreva con un giovane turista con ragazzino a seguito in un tedesco perfetto, reduce da chissà quanti anni di lavoro in Germania.

UNA PERSECUZIONE

Fingo di non essere nel mondo, non vorrei mai essere coinvolta nella discussione. Durante queste vacanze mi sono ripromessa di staccare completamente dalla mia vita nordica, parlando algherese e magari italiano all’occorrenza, dimenticando il lavoro e tutte le rotture annesse alla vita all’estero.

Accade però l’inevitabile, d’altronde qui la gente parla, chiacchiera, si saluta e si racconta, anche quando non si conosce. Il vecchio emigrato mi coinvolge nel discorso, non sa quante cose abbiamo in comune. Io, emigrata di nuova generazione, lui, emigrato della vecchia guardia. Gli si illuminano gli occhi quando gli dico che lavoro a Berlino: un suo cugino ha aperto un ristorante a Charlottenburg, e se mai andrò a mangiarci, dovrò assolutamente portargli i suoi saluti.

La conversazione è breve, come il tragitto casa-centro. Ma sono contenta della mia pigrizia. Nonostante l’iniziale riluttanza da tedesco, ho avuto l’occasione di fare un bell’incontro, di quelli che non si fanno tutti i giorni, e che fanno sperare in un futuro spensierato passato a chiacchierare in compagnia di qualcuno che ha mille storie da raccontare. Speriamo solo non sul tram.